La mattina del 13 agosto 1950 – esattamente 70 anni fa – nessuno avrebbe potuto immaginare che di lì a poche ore sarebbe accaduto qualcosa di straordinario. Da tre anni, ormai, un nuovo confine aveva diviso, oltre che un territorio contraddistinto da una millenaria unitarietà, anche i tantissimi goriziani che si erano trovati a vivere lungo i due lati della cosiddetta “cortina di ferro”. Un confine doppiamente spietato: sia per la ferita inferta alla comunità locale, sia per la maniera in cui era presidiato dai graniciari, le guardie jugoslave che non esitavano a usare i fucili contro chiunque si azzardasse a varcarlo senza autorizzazione.
Ma quella domenica, grazie a un passaparola esteso a tutta la popolazione transfrontaliera, il cosiddetto “appuntamento” si trasformò in una festa cittadina per migliaia di persone. Per tutto il pomeriggio, infatti, fu possibile non solo vedersi al valico della Casa rossa, ma anche abbracciarsi senza correre il rischio di ricevere una pallottola in fronte. Non solo: centinaia di sloveni poterono anche riversarsi nei negozi del centro storico al fine di approvvigionarsi di tutti quei beni che, dall’altra parte del confine, erano diventati di lusso. Tra questi, in primis, le scope di saggina, che, come ci ricorda Roberto Covaz con il suo libro La domenica delle scope, sarebbero diventate il simbolo di quella giornata storica.
Proprio alla luce della recente chiusura delle frontiere, dovuta all’emergenza sanitaria innescata dalla pandemia in corso, la rievocazione organizzata dalle amministrazioni locali attraverso due eventi – uno in ciascuna delle due Gorizie –, ricchi di testimonianze locali, ha assunto un significato tutto particolare. E partecipare a entrambi con Julija, dopo mesi di separazione imposta dal lockdown, ha reso tutto ancora più coinvolgente.