Pubblicato su East Journal
18/04/2020
L’intervento della Corte costituzionale slovena, nella tarda mattinata di venerdì 17 aprile, non è stato un fulmine a ciel sereno, ma ha marcato la vera linea di confine tra Budapest e Lubiana: tra i “pieni poteri” in salsa ungherese e lo stato di diritto.
Con il suo verdetto, infatti, l’organo di garanzia ha sancito l’illegittimità del decreto adottato dal governo per contrastare l’epidemia di Covid-19, nella parte in cui non stabilisce un limite preciso alla sua durata. Questo provvedimento aveva introdotto delle norme molto simili a quelle adottate da altri paesi, tra cui l’Italia, che incidono pesantemente su diversi diritti fondamentali dei cittadini. La Corte non si è pronunciata sul merito di queste misure, ma ha censurato l’articolo 7, per il quale sarebbe stato il governo a stabilire, con estrema vaghezza, fino a quando i vari divieti sarebbero rimasti in vigore.
Si tratta di un segnale indicativo, perché non dimostra soltanto che il sistema di pesi e contrappesi, nella repubblica transalpina, gode ancora di buona salute, ma conferma al premier Janez Janša un’amara realtà: in Slovenia non si può fare quanto Viktor Orbán sta facendo in Ungheria, nemmeno durante una crisi della portata di questa emergenza sanitaria.
Il contesto
La situazione politica aveva cominciato a diventare rovente lo scorso 27 gennaio, quando – con il tempismo di un B-movie distopico – l’allora primo ministro Marjan Šarec ha rassegnato le dimissioni. Giungeva, così, al capolinea il suo governo di minoranza di centrosinistra, con la prospettiva di un ritorno anticipato alle urne. Il nuovo coronavirus era ancora percepito come un problema lontano, a cui l’OMS non aveva nemmeno assegnato un nome ufficiale.
Le consultazioni tra i partiti, però, prendono una piega inaspettata proprio nei giorni in cui, poco oltre la frontiera, viene scoperto il primo grosso focolaio del nostro continente. Janša riesce – con il 29% dei seggi in parlamento ottenuti dal suo Partito democratico sloveno (SDS) – a realizzare il più classico dei ribaltoni all’italiana, grazie all’accordo con una delle principali componenti della precedente coalizione di governo: il Partito del centro moderno (SMC) del precedente premier Miro Cerar.
Il leader SDS non è un volto nuovo della politica slovena: è la terza volta, infatti, che Janša riesce a diventare primo ministro, coronando una carriera iniziata ben prima del collasso della Jugoslavia e costellata di vari scandali. Negli ultimi anni, però, si è distinto soprattutto per una radicale svolta a destra, il cui messaggio marcatamente xenofobo, intollerante e nazionalista viene costantemente amplificato da Nova24tv, la rete televisiva da lui fondata e foraggiata dall’Ungheria.
L’allarme
Poco prima di Pasqua un’inchiesta del giornalista Blaž Zgaga – pubblicata prima sul quotidiano croato Nacional, quindi in Italia da l’Espresso – aveva sollevato anche all’estero non poche preoccupazioni sulla salute della democrazia in Slovenia. Non solo l’autore definiva “colpo di stato” una gestione dell’emergenza ai limiti del perimetro costituzionale, ma riportava anche l’inquietante infiltrazione, negli apparati di sicurezza slovena, di elementi vicini al Movimento identitario: una rete di gruppi di estrema destra coinvolta anche nell’attentato alla moschea neozelandese di Christchurch. Per una situazione molto simile, l’Austria, durante l’ultima breve esperienza di governo della formazione di estrema destra FPÖ, era stata di fatto esclusa dallo scambio di informazioni tra le agenzie di intelligence occidentali, con notevoli rischi per la sicurezza nazionale.
Dall’inchiesta erano emersi anche dei timori in merito ai piani del governo di estendere i poteri di polizia all’esercito – nonostante l’opposizione avesse fatto mancare la necessaria maggioranza qualificata dei due terzi – e a una chiamata alle armi di volontari. Un appello sospetto, nel momento in cui è assente una minaccia militare specifica, e che suona più come un ammiccamento ai vari gruppi paramilitari anti-immigrati che già operavano – ai margini della legalità – fino a qualche mese fa al confine con la Croazia.
Il governo contro tutti
Le critiche da parte della stampa e di ampie fette della società civile slovena hanno scatenato una dura reazione da parte del governo fin dal suo esordio. Continui, infatti, sono stati gli attacchi diretti a giornalisti e intellettuali come il filosofo Slavoj Žižek.
Affondi lanciati non solo via social, ma anche attraverso canali più istituzionali, come la lettera al Consiglio d’Europa in cui il ministro degli esteri Anže Logar denunciava, nell’imbarazzo crescente anche degli altri partiti della maggioranza, una presunta connessione tra i media indipendenti “di sinistra” e il precedente regime comunista jugoslavo. Un implicito richiamo alla teoria complottista dell’Udbomafija, secondo cui le élite post-comuniste sarebbero ancora manovrate dalla polizia segreta titina (UDBA).
È difficile quindi negare una preoccupante tendenza verso l’autoritarismo da parte del nuovo esecutivo sloveno, ma va altresì segnalato che esistono ancora solidi anticorpi che fanno ben sperare sulla tenuta democratica delle istituzioni. I media, fatta eccezione per il gruppo controllato dal primo ministro, hanno dimostrato un notevole grado di indipendenza, e lo stesso può essere affermato sia per il potere giudiziario che per quello legislativo. Si ha l’impressione, piuttosto, che i continui scontri istituzionali abbiano come principale effetto quello di indebolire la tenuta della coalizione di governo, il cui unico vero collante è l’emergenza Covid-19.
Daniele Tibaldi