Pubblicato su Gorizia News&Views (Anno 4, n. 10 Novembre 2020)
di Daniele Tibaldi
Visitare Villa Lasciac, nota anche come Villa Moresca, da diversi anni non è più tanto un’esperienza di un certo interesse architettonico e culturale, quanto un’impresa ricca di sfide e pericoli. La ragione è evidente a chiunque tentasse di accedervi: lo stato di totale abbandono in cui versa la struttura da quando, nel 2003, il ministero della Salute sloveno, in uno scambio di competenze con il ministero dell’Istruzione, Scienza e Sport, cessò alcune delle attività sanitarie che vi avevano avuto luogo. Da allora diversi sono stati i piani e le promesse di intervento da parte delle autorità nazionali e locali; tutti rimasti sulla carta fino – si spera – alla recente candidatura di Nova Gorica e Gorizia a Capitale europea della Cultura del 2025.
La gestione del parco – inclusivo anche di un orto botanico comunale – non è stata affatto agevole, poiché la proprietà dell’immobile, dalla fine della Seconda guerra mondiale, è statale. Spesso questo comporta un meccanismo decisionale farraginoso, che può richiedere tempi molto lunghi e scarsa efficienza; al punto che, allo stato attuale, l’intera area non sembra più nemmeno visitabile, nonostante si tratti, probabilmente, dell’unico esempio, in Europa Centrale, di architettura neo-mamelucca – una variante egiziana di quella neo-moresca.
Ma cosa ci fa un edificio dai tratti così esotici sul colle Rafut, alle porte di Gorizia, poco oltre il confine con la Slovenia? Il merito è dell’architetto Antonio Lasciac (1856 – 1946), da cui il nome della villa. L’illustre goriziano – nato in Borgo San Rocco, di origine slovena (Laščak) e di formazione viennese – soggiornò per molto tempo in Egitto, dove, in veste di capo architetto dei palazzi reali dell’ultimo kedivé, Abbas Hilmi I, si occupò pure della riedificazione della reggia di Abdine a Il Cairo.
Il contesto storico
Di questo stile architettonico esistono vari esempi in Europa, ma non è da confondersi con le vestigia della dominazione araba nella penisola iberica o nell’Italia meridionale, risalenti al Medioevo. Lo stile neo-moresco è, infatti, un genere fiorito nella seconda metà dell’Ottocento, nell’ambito della cultura orientalista e delle suggestioni esotiche – letterarie e pittoriche – provenienti dalla riscoperta dell’architettura e dell’arte nordafricana. Nell’allora Impero asburgico trovò la sua massima espressione in Bosnia, dove fu utilizzato dall’amministrazione nell’ambito di una strategia volta a garantirsi la lealtà della comunità musulmana locale.
L’esempio più celebre è la Viječnica di Sarajevo. Progettata dall’architetto boemo Karel Pařík e inaugurata nel 1894, fu sede del municipio fino al 1949, dopodiché ospitò la biblioteca nazionale. Distrutta dai bombardamenti serbi nel 1992, fu infine ricostruita e riaperta al pubblico nel 2014. Significativa, però, è anche la scelta di questo stile per l’edificazione della sinagoga aschenazita di Sarajevo. Gli ebrei emigrati dall’Europa centrale nei Balcani durante il periodo asburgico vi interpretavano, infatti, un richiamo all’età d’oro della cultura ebraica e della scienza ebraica nell’Andalusia medievale.
La grande Esposizione Universale di Vienna del 1873 svolse un ruolo determinante nello sviluppo di quest’attrazione per la cultura e architettura orientale nell’Impero austro-ungarico. Fu proprio in quell’occasione che i professori di architettura viennese scoprirono gli stili architettonici – allora ancora misconosciuti – caratteristici della Spagna moresca e dell’Egitto. In questo contesto è facile, quindi, intuire la facilità con cui si innescò la fascinazione di Lasciac per lo stile neo-orientale nel corso dei suoi studi universitari nella capitale austriaca, dove si laureò nel 1882.
Nel 1907 Lasciac decise di acquistare da Anna Biber, vedova dell’ingegnere Enrico Palm, ben 18 mila metri quadrati del Rafut, nei pressi del monastero della Castagnavizza (samostan Kostanjevica), al fine di costruirvi quest’avveniristica e originale villa in stile moresco che l’architetto goriziano Diego Kuzmin ha definito il suo “autoritratto edilizio”, quasi a voler mostrare lassù in alto ai goriziani l’agiatezza raggiunta in Egitto. È lui che dobbiamo ringraziare se oggi è possibile ammirare dal castello di Gorizia quella particolare torre, alta 28 metri, la cui forma ricorda inequivocabilmente il minareto di una moschea.
La villa neo-mamelucca del Rafut è, quindi, riuscita a sopravvivere ai due conflitti mondiali, i cui segni sono ancora ben visibili sulla facciata. Ma è stata proprio l’incuria di chi, paradossalmente, avrebbe dovuto preservarne il valore ad averla portata sull’orlo della rovina.
Quali prospettive per il futuro?
Riconosciuta nel 2003 dal consiglio comunale di Nova Gorica come monumento culturale di locale rilevanza, il ministero dell’Istruzione aveva intenzione di farne un centro di studio e ricerca per l’Università di Nova Gorica. Ottenuti i fondi necessari per il restauro, questi furono, però, destinati al pagamento dei debiti dell’Università del Litorale (Univerza na Primorskem). Era il 2008, poco dopo sarebbe arrivata anche la Grande Recessione e i progetti per la villa, a Lubiana, non furono più ritenuti una priorità, al punto da ipotizzarne la vendita a soggetti privati.
La vera svolta sarebbe arrivata solo nel 2019. Dopo una manifestazione organizzata dal movimento Goriška.si – guidato dall’attuale sindaco di Nova Gorica Klemen Miklavič – contro l’ipotesi di privatizzazione, il ministero dell’Istruzione ha concesso all’amministrazione comunale i diritti di costruzione sulla proprietà statale per un periodo di 99 anni. La candidatura di Nova Gorica e Gorizia a Capitale europea della cultura per il 2025 vede proprio l’impegno per il restauro di Villa Lasciac tra i punti principali del progetto.
Ottenute già dal governo le risorse necessarie almeno a bloccare il decadimento dello stabile (2,5 milioni di euro), si punta, ora, ai fondi europei di coesione per trasformare l’intera area nel secondo nucleo di congiunzione con la parte italiana della città transfrontaliera, dopo Piazzale della Transalpina – Trg Evrope.
Il consulente del sindaco di Nova Gorica, Nejc Koradin, assicurava lo scorso gennaio che i primi lavori per il restauro sarebbero iniziati nel 2021. L’obiettivo è quello di «inserire il parco in un asse di collegamento tra il centro di Nova Gorica e l’area del castello di Gorizia e il suo centro storico: un nuovo ponte verde che consentirà ai pedoni delle due città di muoversi in uno spazio comune».
Non resta che armarci di pazienza, quindi, nella speranza che tutto proceda secondo i piani dall’amministrazione comunale. C’è solo l’amarezza di un dettaglio da tenere in considerazione: questi piani sono stati annunciati giusto poco prima dello scoppio della pandemia di Covid-19, con tutto il carico di incognite per il futuro che ciò comporta.
© RIPRODUZIONE RISERVATA