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TERRITORIO

Gorizia, la “Nizza austriaca”

A Gorizia abbiamo un modo di mandare qualcuno “a quel paese” piuttosto particolare, che solo i miei concittadini ben radicati possono comprendere:

«Va a contarghe a quei sete in piazza Corno».

«Quei sete» sarebbero le statue degli dei dell’Olimpo scolpite, nel XVIII secolo, sul tetto di Palazzo Attems, in Piazza De Amicis, dal bergamasco Giovanni Battista Mazzoleni. Quando era territorio austriaco, inoltre, questa piazza aveva un nome diverso da quello attuale ed era intestata proprio al Corno, il piccolo affluente dell’Isonzo che la attraversava.

Ricordare detti locali quasi desueti come questo è anche un modo per far sopravvivere la storia della nostra città.

[📸 Gorizia, 08/03/2020]


Villa Lasciac

Visitare Villa Lasciac, nota anche come Villa Moresca, nei pressi della Castagnavizza (Samostan Kostanjevica), mi ha sempre provocato un po’ di amarezza. La ragione? Lo stato di abbandono in cui versa. Tecnicamente non è nemmeno visitabile, nonostante si tratti, probabilmente, dell’unico esempio di architettura neo-mamelucca in Europa.

Ma cosa ci fa un edificio dai tratti così esotici alle porte di Gorizia, poco oltre il confine con la Slovenia?

Merito dell’architetto Antonio Lasciac (1856 – 1946), da cui il nome della villa. Goriziano di formazione viennese, Lasciac soggiornò per diverso tempo anche in Egitto in veste di capo architetto dei palazzi reali dell’ultimo kedivé Abbas Hilmi I, per il quale riedificò la reggia di Abdine a Il Cairo. Nel 1907 decise di acquistare 18.000 metri quadrati della collina del Rafut, dove poi costruì la sua abitazione.

Nel 1907 decise di acquistare 18 mila metri quadrati della collina del Rafut, dove costruì la sua abitazione.

È lui che dobbiamo ringraziare, quindi, se oggi è possibile ammirare dal castello quella particolare torre, alta 28 metri, che, nella forma, ricorda inequivocabilmente il minareto di una moschea.

Il parco della villa – di proprietà pubblica – è anche la sede di un orto botanico, pure questo chiuso, ormai, da diversi anni. La struttura è sopravvissuta a ben due conflitti mondiali, di cui peraltro sono ancora visibili i segni sulla facciata. Speriamo non sia proprio l’incuria di chi dovrebbe preservarne il valore, invece, a decretarne la rovina.