Gli effetti delle prime misure per il contenimento del contagio hanno cominciato a manifestarsi solo il 22 marzo: 14 giorni dopo l’entrata in vigore del celebre dPCM dell’otto marzo. Se non fosse stato adottato quel decreto, la curva avrebbe continuato a seguire l’incremento esponenziale registrato fino al 21, con conseguenze ben peggiori di quelle drammatiche che stiamo sperimentando soprattutto in Lombardia.
L’emergenza durerà ancora a lungo, non ci si illuda del contrario. Ma se possiamo già cominciare a pensare alla “fase due” – quella della convivenza con il Coronavirus in condizioni meno draconiane di quelle vigenti – in parte lo dobbiamo al coraggio di chi ha preso una decisione difficile e molto sofferta come quella del “lock-down”, per l’impatto che avrebbe esercitato sulle nostre vite e sull’economia di un Paese già in grosse difficoltà.
Non va abbassata la guardia. È scontato che nei prossimi mesi si formeranno nuovi focolai in altre zone del Paese, sebbene di dimensioni – in teoria – non più paragonabili a quelle viste finora.
L’importante è farci trovare attrezzati per il controllo e la gestione dell’epidemia. Si dovrà adeguare la produzione e la fornitura di mascherine alle nuove esigenze del mercato, e potenziare notevolmente la capacità di analisi dei tamponi dei nostri laboratori. Sarà necessario cambiare molte delle nostre abitudini quotidiane precedenti alla crisi, come rispettare il distanziamento fisico o utilizzare gli spazi pubblici sempre muniti di coperture per la bocca e il naso.
Inoltre, sarà fondamentale adottare, a livello europeo, tutte le misure necessarie per superare una crisi economica che inciderà – inevitabilmente – sulla qualità delle nostre vite per tutta la durata dell’emergenza sanitaria, se non oltre. Le prime reazioni “egoiste” dei singoli Paesi europei evidenziano il vero fallimento dell’«Europa delle nazioni» tanto decantata dal fronte sovranista. Infatti, se è stata tempestivamente sbloccata la circolazione di materiale sanitario nello spazio comunitario, non è certamente dipeso dall’iniziativa dei singoli Paesi, bensì dall’intervento delle istituzioni UE, nei limiti dei poteri a loro attribuiti dai Trattati. Se non siamo stati ancora travolti da un’inflazione fuori controllo o da altre conseguenze tipiche, in questi contesti, lo dobbiamo alla nostra appartenenza al Mercato unico e all’Eurozona.
Gli sforzi che ci saranno richiesti nei prossimi mesi costituiscono una sfida senza precedenti in tutto il secondo dopoguerra. Questa pandemia ci ha sbattuto in faccia tutte le fragilità di un sistema che abbiamo sempre dato per scontato, e, anche per questa nostra superbia, ci ha colto del tutto impreparati.
Auspico che le conseguenze di questo shock ci traghettino, nel lungo termine, verso un mondo migliore di quello antecedente alla crisi. Me lo auguro soprattutto per il nostro continente, della cui unità politica c’è una necessità sempre più evidente. Per questo spero che prevalga un approccio razionale alle enormi difficoltà che tutto il mondo sta affrontando; senza cedere alle tentazioni di una narrativa disgregatrice, apparentemente più efficace, forse solo perché più semplice da comprendere.